Dopo aver studiato il cinema realizzato in Polesine dalle grandi firme del cinema italiano, aver raccolto tutte le opere girate nella provincia di Rovigo in una videoteca tematica e aver raccontato in libri, mostre e pubblicazioni varie la lezione dei grandi maestri della nuova “visione” del paesaggio polesano e dei suoi differenti filoni, mi sono occupato in prima persona di creare una strada all’interno del territorio in cui sono nato, ho vissuto molti anni della mia vita e ho imparato ad apprezzare in tutti i suoi lati più disparati. A tale scopo ho pensato di raccontare storie ambientate principalmente in Polesine e scritte da scrittori locali. Già questo colloca il risultato in un cinema che si può definire “di provincia”, una sorta di racconto neorealistico moderno. Si dice che chi vive imparando a conoscere e ad amare la provincia finisca per non dimenticarla, anzi per esplorarla sempre di più. L’idea mi piace perché è una sorta di rivalutazione di una provincia spesso trascurata dai mass media e riscoperta solo per eventi drammatici, negativi o di difficoltà sociali. Già il termine “provinciale” è un termine spesso riduttivo e questo mi ha stimolato maggiormente. Preferisco parlare delle minoranze, oppure di chi è meno ascoltato per varie ragioni, degli emarginati, degli antieroi per antonomasia e il Polesine è tutto questo: tra i due fiumi più importanti d’Italia c’è questa lingua di terra poco considerata da tutti e che non ha praticamente mai voce in capitolo ed è distante dai centri di potere.
Il primo lungometraggio, L’ultimo giorno dello scorpione risale al 2015 e l’ho tratto dal romanzo noir omonimo della polesana Linda Stocco. È un thriller ambientato nel Polesine dove un serial-killer, spinto da un odio profondo, rapisce anziane donne, le sevizia e le tortura fino a portarle alla morte. Ma quale sarà il motivo di tanto livore? A trovare la soluzione, saranno una psicologa e un comandante del nucleo investigativo di Rovigo. I due, uniti non solo dal lavoro, ma anche sentimentalmente, arriveranno alla soluzione del caso per strade diverse ma quasi contemporaneamente scoprendo una verità agghiacciante. È una storia avvincente che si dipana in un susseguirsi di sentimenti dove odio, amore, passione e pietà, portano ad un finale dai risvolti emozionanti e forti. È un film inserito nei contorni del Polesine in cui sono descritti i fantastici paesaggi del Delta avvolto nella nebbia, la città di Rovigo e dintorni, e Villa Cagnoni Boniotti a Gognano di Villamarzana mostrando una fantastica terra ancora poco conosciuta e incontaminata dove si può ancora ammirare la natura in tutte le sue forme. Il film è stato premiato al Micro Festival Cinema Veneto a km zero come miglior soggetto.
L’anno successivo fu la volta del film La madre distratta, tratto dall’omonimo romanzo di Nicoletta Canazza, giornalista del Gazzettino di Rovigo, premio speciale della critica assegnato da una giuria tecnica presente alla Mostra del cinema istituita dalla Ferrara Film Commission per premiare la miglior opera rappresentante il territorio della provincia padana. Il film - si legge nella motivazione del premio - “ha la capacità di raccontare la provincia padana focalizzando l’attenzione su un tema di alto valore sociale, di particolare attualità, la procreazione assistita, ha il merito di citare Federico Fellini proponendo un’intervista inedita di Tonino Guerra realizzata dal regista De Laurentis nel 1989, di indubbio valore storico. Un film contestualizzato e convincente che trasporta lo spettatore nei luoghi più nascosti di una cittadina come Rovigo e che trasmette con sobrietà le emozioni dei polesani.
La madre distratta
Sul finire dell’anno iniziammo a girare Sensazioni, un lungometraggio che ho tratto da un’opera letteraria molto particolare di Sergio Gnudi. La pellicola racconta gli ultimi giorni di vita di due anziani coniugi che, grazie a 10 pacchetti di fotografie rivivranno 10 sensazioni, essenza stessa della vita. Al centro vi sono le sensazioni che poi sono il nutrimento stesso della vita. La poesia se non è sensazione che altro è? Le 10 sensazioni dell'opera sono legate ad una storia che ha un "preludio", un "intermezzo" e un "epilogo", come nel libro di Sergio Gnudi da cui è tratta la sceneggiatura del film. Dalle foto al racconto visivo attraverso il meccanismo del ricordo filmico.
È una storia d'amore intensa che nasce da una fortissima intesa culturale: è il Polesine al centro della vita dei due protagonisti e nell'ultimo tratto del "viaggio" si vedono luoghi di un Polesine inaspettato, non noto ma dalle vibrazioni intense. Il racconto è reale, talmente reale che a volte sembra che la fantasia prenda il sopravvento.
È un film di sensazioni, di personaggi, di luoghi, come nella tradizione del cinema italiano italiana del Secondo Dopoguerra. La collocazione del film negli Anni Settanta aggiunge il fatto che si tratti di un periodo storico che ho vissuto e in cui mi sono formato secondo i temi che venivano affrontati in quell'epoca.
Fra giovani si parlava spesso di poesia, di arte, di cinema, di argomenti a sfondo sociale e politico che sono stati parte integrante della mia vita e stimolo per realizzare dei progetti.
Sensazioni
Nella trama la protagonista è una quarantenne affermata, una stimata organizzatrice di eventi che vive con passione il matrimonio con il marito Marco fintanto che il desiderio di paternità di lui la costringe a confrontarsi con il grande nodo irrisolto della sua vita: la sua atavica contrarietà rispetto all’idea della procreazione.
Ciononostante, nel caparbio tentativo di uniformarsi agli schemi imposti dalla società, Mara sfida la resistenza opposta dal suo corpo e dalla sua mente al concepimento naturale, cimentandosi nello snervante percorso finalizzato alla procreazione assistita. Un percorso che la porterà a scoprire la propria vera identità femminile, alquanto diversa rispetto alle aspettative altrui. Le riprese sono state effettuate a Rovigo e in molte parti del Polesine, eccetto tre escursioni, a Rimini, sul Lago di Garda e a Krumpendorf (Austria). Tra i protagonisti anche tre polesani importanti: il costumista Sergio Ballo (vincitore di 2 David di Donatello), il batterista Iarin Munari e la senatrice Emanuela Munerato.
Nel 2017 realizzai Tanto non ti amerò, tratto dall’omonimo romanzo di Nicoletta Canazza. La storia è imperniata su un personaggio femminile difficile al centro di storia di conflitti familiari e memorie, che svelandosi a poco a poco racconteranno una vicenda cupa e tormentata. Il film è stato girato in buona parte a Lendinara e a Ceregnano, con escursioni nei territori di Ficarolo, Rosolina, Occhiobello e Venezia. Protagonisti Rossella Bergo e Pippo Santonastaso.
Nel 2018 realizzai tre lungometraggi particolarmente significativi e molto diversi tra loro. Il primo, L’isola (coma profondo), tratto dal romanzo Coma profondo (l’isola) di Stefano Viaro Targa, è una storia estiva di ragazzi in vacanza nell’isola di Albarella, un luogo speciale, molto particolare. Lei ragazza russa, bellissima, dagli occhi di ghiaccio e lui, un ragazzo qualunque che sta trascorrendo la sua estate al mare, tra uscite con gli amici e partite di golf. È una storia ricca di sentimenti ed emozioni che offre uno spaccato dei giovani di oggi, con elementi a tratti ironici e a tratti più seriosi. Le avventure si svolgono sull’isola e poi in seguito in Toscana, a Bologna e a Verona, dove il ragazzo sceglie di portare la ragazza per mostrarle l’arte e la bellezza della “sua” bella Italia. Il racconto si conclude con un epilogo commovente, che darà una svolta inaspettata a una vicenda fino a quel momento spensierata e serena. Una storia che racconta il senso dell’amicizia, dell’amore, e che si basa sull’importanza di vivere appieno il presente gioendo di ogni momento presente. Nel film abbiamo sommato momenti di finzione a documenti reali vissuti in quel momento, anche nel drammatico, tanto che, pur scappando dal terribile uragano del 10 agosto pochi minuti prima, l’abbiamo documentato e inserito nella narrazione subito dopo.
Il secondo è un film di montaggio dal titolo Luce sul Polesine, che racconta una bella fetta di storia della provincia di Rovigo, dal 1927 al 1983 attraverso i cinegiornali, i film, i documentari e tutti gli audiovisivi realizzati in territorio polesano. Si rivive il passaggio della vita dei genitori e nonni del Polesine, con il periodo del fascismo, dell'alluvione, vedendo un territorio diverso. Si tratta di un documentario di un'ora e mezza, dove si vede la storia raccontata dai centri di produzione. È motivo anche di riflessione e confronto tra il Polesine del passato e quello moderno. Il film nasce da uno studio sul giornalismo e su come l'audiovisivo ha raccontato il Polesine dall'esterno. Un lavoro cartaceo di circa 500 pagine dove ho analizzato tutti i filmati prodotti relativi alla terra polesana. È una forma di giornalismo e cinema che si intreccia. Un film di montaggio non solo in bianco e nero.
Nel film si sente in sottofondo una radio privata, simile a quella in cui ho iniziato a trasmettere a 16 anni con i programmi classici dell'epoca in cui non solo si faceva ascoltare la musica ma si raccontavano i significati dei testi. La libertà che noi giovani inseguivamo nel film è resa da un gruppo di ragazzi che con un registratore a batterie ascoltano e ballano una musica sull'argine del fiume. Il film esplica un grande amore per i linguaggi dell'arte. Ogni arte ha un suo linguaggio ed il cinema ne ha uno che non è popolare. Ho cercato di sfruttare al massimo le inquadrature limitando al minimo i dialoghi nei quali ho cercato di mantenere la poetica e, soprattutto, le parole scritte da Sergio Gnudi nel suo libro, perché è uno scrittore che misura le parole con la giusta profondità e la qualità della sua scrittura è quanto di meglio possa desiderare un regista o uno sceneggiatore per adattarla al grande schermo.
Nel 2019 fu girato Heartbeat – il canto delle cicale, tratto da il romanzo “Domani sarà un’altra possibilità” scritto dalla giovanissima fiessese Valentina Sgarbi. Il film, ambientato proprio a Fiesso Umbertiano, racconta la storia di Amanda, una donna che a 12 anni, una notte, in un incidente stradale davanti a casa, vede morire una ragazza. A bordo dell’auto, insieme all’unica vittima, ci sono altri due giovani la cui identità resterà avvolta nell’ombra. Amanda è trentenne quando una malattia cardiaca le strappa il marito: i suoi giorni, simili a «un bicchiere sporco di vita», sprofonderanno sempre più sino a inciampare nella fugace relazione con Martino, un addetto cimiteriale dall’animo bifronte. Una mattina di sette anni dopo, Amanda decide di riprendere in mano la propria esistenza. La sincera amicizia con l’ex cognata, Ginevra, non sembra mai essersi spezzata; eppure anche a lei, come a tutti, la protagonista ha sempre nascosto il suo più grande segreto.
“Heartbeat, il canto delle cicale”, un titolo il cui senso andrà svelandosi con lo svolgersi della trama, nasce da un’idea insolita, sicuramente stimolante: dare voce ad autori appartenenti ad una fascia d’età il cui punto di vista non è tenuto nella considerazione che invece meriterebbe. Quel segreto, ora, sarà rivelato… Tra famiglie in crisi e sms misteriosi, gatti neri e sorelle tossicodipendenti, incubi che tolgono la pace e sogni come aquiloni, il film assume le caratteristiche di un giallo.
“Heartbeat, il canto delle cicale”, un titolo il cui senso andrà svelandosi con lo svolgersi della trama, nasce da un’idea insolita, sicuramente stimolante: dare voce ad autori appartenenti ad una fascia d’età il cui punto di vista non è tenuto nella considerazione che invece meriterebbe.
Heartbeat- il canto delle cicale
Il film è stato girato nei comuni di Fiesso Umbertiano, Occhiobello, Rovigo, Igea Marina, Rimini, Poggio Renatico (Fe), Ferrara, Malcesine, Pinzolo, Riva del Garda.
Infine, nel 2019 e nel 2020 ho realizzato La vita che verrà, un lungometraggio tratto da un romanzo di Sergio Gnudi. È una storia che va controcorrente, risale il fiume da valle a monte, in un piccolo tratto, ma significativo. Un tratto in cui treni e automobili indicano lo scorrere della vita di oggi. È un invito a riflettere, ad andare alla ricerca delle nostre radici. Racconta di tante generazioni cercando di coglierne i punti in comune, a partire dalle difficoltà che presenta il nostro territorio, ma anche a sottolinearne i progressi, come l’università nel capoluogo polesano. Il film è però anche una storia appassionante di rapporti, d’amore, d’amicizia, tra genitori e figli, come se fosse un viaggio sentimentale, che parla di argomenti che appartengono sempre più al sentire comune: un futuro tutto da costruire che lasceremo ai nostri figli e l’importanza della memoria.
Sandro è un professore universitario polesano che vive a Valencia da 16 anni, viene a sapere di essere padre di una ragazza di 15 anni avuta con la sua fidanzata storica da cui si staccò al momento di scegliere la carriera. La ragazza gli tacque la gravidanza per non trattenerlo in Italia e precludergli la carriera. Il professore decide così di tornare in Polesine per conoscere la ragazzina e mettersi in gioco come padre, ma le cose non vanno in maniera liscia come sperato, perché l’uomo deve fare i conti con un passato che gli si presenta spesso inaspettato.
Sono storie di luoghi, di spazi cioè abitati e contagiati dall'uomo e dal suo vivere quelli raccontati sullo schermo con questi film: un territorio già di per sé "parlante" al pubblico, perché ricco di storia, natura, cultura del paesaggio e della terra.
La vita che verrà
Le opere descrivono microcosmi che al contempo narrano una storia in particolare che ha spesso una possibile chiave di lettura più universale. Ed è per questo che la sfida continua con nuove storie e nuovi film.
2015 - L’ultimo giorno dello scorpione
2016 – La madre distratta
2017 – Tanto non ti amerò
2018 – L’isola (coma profondo)
2018 – Luce sul Polesine
2018 – Sensazioni
2019 – Heartbeat – il canto delle cicale
2019 – La vita che verrà