L’APPRODO SICURO È LA RICERCA DEL NAVIGANTE
Uno scalo costiero in sicurezza specie se alla foce del fiume e magari in laguna offriva maggiori possibilità di nuovi insediamenti per collegamenti con l’entroterra.
Introducendo un argomento di riflessione sulla capacità di accoglienza e quindi di scambi commerciali dei territori locali, si rileva quanto fossero favorevoli le condizioni naturali che offriva la regione del golfo Adriatico. Soprattutto per la fascia costiera che attiene alla nostra ricerca, ovvero quel cordone dunoso che ancora oggi parte da Brondolo per arrivare in senso trasversale fino al ravennate e il conseguente sistema vallivo che ne connota il paesaggio.
La famosa e stracitata frase di Tito Livio, storico romano del I° secolo d.C. Importuosa Italiae Litora, dimostra come ancora a quei tempi i litorali d’Italia (in particolare in Adriatico) fossero poco accessibili per la costruzione di porti. In realtà le ragioni maggiori erano dovute alla difficoltà di navigazione a causa dei banchi di nebbia in mare che nascondevano le stelle, pertanto la stima d’orientamento. Altro problema che ostacolava il commercio libero era l’esercizio della talassocrazia, o meglio, pirateria, fenomeno di atavica situazione, combattuta da mutanti servizi di polizia. Soprattutto però le coste non erano protette da cordoni insulari e quindi prive di insenature naturali.
LE DUNE
La significativa esistenza invece dei cordoni naturali che si formavano nel delta padano a ragione dello spostamento progressivo di costa ad oriente, dovuto anche all’afflusso dei vari fiumi, in primis del Po, dell’Adige e dei loro affluenti, nonché la presenza di zone lagunari offrivano garanzie di protezione.
Non è difficile immaginare come nei luoghi di costa, maggiormente accessibili approdassero più etnie distinte se non addirittura con usi, costumi, nonché linguaggi differenti, ma singolarmente referenti dei luoghi d’origine e diretti verso rotte consolidate di mercati interni. Pur tuttavia si potevano instaurare forme di convivenza a seguito di primari atteggiamenti di cautela e circospezione mediati via via da funzioni comuni di servizi e logistica, specie in virtù di prevalenza della tribù che maggiormente sapeva meglio amministrare e gestire le condizioni ambientali in conformità alle frequenti variazioni del territorio.
ANCORA UNA TESTIMONIANZA
Il testo è preso dall’ opera Periplo, dell’ammiraglio persiano Scilace di Carandia, a metà del secolo VI a. C., che è stato un navigatore, geografo e cartografo, in una versione probabilmente integrata in epoca più tarda 340-330 a.C., e nel quale relaziona sulle terre locali.
Ecco il brano:
“…Etruschi. Questi estendono il loro dominio dal mare Tirreno fino all’Adriatico; e c’è una città greca, presso questi, Spina, e un fiume con lo stesso nome; e il percorso della città lungo il fiume copre 2 stadi (3,5 Km circa)….
Dopo gli Etruschi ci sono i Celti, quelli lasciati indietro dalla spedizione, nella parte più interna dell’Adriatico. Dopo i Celti ci sono i Veneti e il fiume Eridano che scorre presso questi. Il viaggio prende un giorno.”
Il riferimento ai Celti, in questo caso, probabile si riferisca alle truppe mercenarie galliche di
Dionigi di Siracusa*.
Il ragionamento che segue dalla lettura del brano testimonia quanto precedentemente espresso, ovvero la contemporanea presenza di comunità diverse (Tirreni, Greci, Celti, Veneti) in un ambito lagunare comune tra Ravenna e Adria, (evitando l’elencazione degli approdi o porti fino a Brondolo e gli altrettanti supposti insediamenti di piccole entità, in concomitanza degli sbocchi fluviali a mare, per restare nei pressi del cordone dunoso inerente al nostro studio), ma non solo.
Certamente l’argomento apre ad ipotesi di assoluta incertezza allo stato attuale della ricerca, benché cenni illustrativi vengano suggeriti dalla linguistica e dall’archeologia. Tali segni però allineano un annoso dibattito tra le supposizioni di singoli studiosi in merito alle analisi delle medesime fonti letterarie, mediante una discosta visione del mito di Cicno, re Ligure e parente di Fetonte..
Evidente che la strada indicata è ancora lunga e l’umiltà del ricercatore porta ad esplorare ed
associare dati con estrema attenzione pur nella consapevolezza che le lezioni dei maestri stanno alla base della concretezza delle affermazioni, senza dover replicare citazioni abbondantemente conosciute e date per acquisite. A meno che non intervengano nuovi studi su fonti attualmente sconosciute o ritrovamenti insperati che possano inficiare l’efficacia delle supposizioni, auspichiamo che il presente contributo vada nella giusta direzione.
* Filisto di Siracusa (verso il 386 a.C.), ammiraglio dei Dionisi I e II, storico mandato in esilio, per cinque anni dal tiranno padre, ad Adria dove (oltre che intervenire con opere idrauliche: la Fossa Filistina prese da lui il nome) scrisse una Storia della Sicilia, affermava che l’ethnos Ligure nelle località costiere dell’Adriatico era naturale per i siracusani, poiché i popoli padani erano in realtà Liguri, dello stesso ceppo dei Siculi.
Le affinità tra Celti e Liguri sono affermate, quindi la supposizione è verosimile.